Mastro Don Gesualdo

Giovanni Verga


Pubblicato: 1889
Categoria(e): Narrativa, Romanzo

Parte 1

I

Suonava la messa dell'alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora della grossa, perché era piovuto da tre giorni, e nei seminati ci si affondava fino a mezza gamba. Tutt'a un tratto, nel silenzio, s'udì un rovinìo, la campanella squillante di Sant'Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia, gridando:

- Terremoto! San Gregorio Magno!

Era ancora buio. Lontano, nell'ampia distesa nera dell'Alìa, ammiccava soltanto un lume di carbonai, e più a sinistra la stella del mattino, sopra un nuvolone basso che tagliava l'alba nel lungo altipiano del Paradiso. Per tutta la campagna diffondevasi un uggiolare lugubre di cani. E subito, dal quartiere basso, giunse il suono grave del campanone di San Giovanni che dava l'allarme anch'esso; poi la campana fessa di San Vito; l'altra della chiesa madre, più lontano; quella di Sant'Agata che parve addirittura cascar sul capo agli abitanti della piazzetta. Una dopo l'altra s'erano svegliate pure le campanelle dei monasteri, il Collegio, Santa Maria, San Sebastiano, Santa Teresa: uno scampanìo generale che correva sui tetti spaventato, nelle tenebre.

- No! no! E' il fuoco!… Fuoco in casa Trao!… San Giovanni Battista!

Gli uomini accorrevano vociando, colle brache in mano. Le donne mettevano il lume alla finestra: tutto il paese, sulla collina, che formicolava di lumi, come fosse il giovedì sera, quando suonano le due ore di notte: una cosa da far rizzare i capelli in testa, chi avesse visto da lontano.

- Don Diego! Don Ferdinando! - si udiva chiamare in fondo alla piazzetta; e uno che bussava al portone con un sasso.

Dalla salita verso la Piazza Grande, e dagli altri vicoletti, arrivava sempre gente: un calpestìo continuo di scarponi grossi sull'acciottolato; di tanto in tanto un nome gridato da lontano; e insieme quel bussare insistente al portone in fondo alla piazzetta di Sant'Agata, e quella voce che chiamava:

- Don Diego! Don Ferdinando! Che siete tutti morti?

Dal palazzo dei Trao, al di sopra del cornicione sdentato, si vedevano salire infatti, nell'alba che cominciava a schiarire, globi di fumo denso, a ondate, sparsi di faville. E pioveva dall'alto un riverbero rossastro, che accendeva le facce ansiose dei vicini raccolti dinanzi al portone sconquassato, col naso in aria. Tutt'a un tratto si udì sbatacchiare una finestra, e una vocetta stridula che gridava di lassù:

- Aiuto!… ladri!… Cristiani, aiuto!

- Il fuoco! Avete il fuoco in casa! Aprite, don Ferdinando!

- Diego! Diego!

Dietro alla faccia stralunata di don Ferdinando Trao apparve allora alla finestra il berretto da notte sudicio e i capelli grigi svolazzanti di don Diego. Si udì la voce rauca del tisico che strillava anch'esso:

- Aiuto!… Abbiamo i ladri in casa! Aiuto!

- Ma che ladri!… Cosa verrebbero a fare lassù? - sghignazzò uno nella folla.

- Bianca! Bianca! Aiuto! aiuto!

Giunse in quel punto trafelato Nanni l'Orbo, giurando d'averli visti lui i ladri, in casa Trao.

- Con questi occhi!… Uno che voleva scappare dalla finestra di donna Bianca, e s'è cacciato dentro un'altra volta, al vedere accorrer gente!…

- Brucia il palazzo, capite? Se ne va in fiamme tutto il quartiere! Ci ho accanto la mia casa, perdio! - Si mise a vociare mastro-don Gesualdo Motta. Gli altri intanto, spingendo, facendo leva al portone, riuscirono a penetrare nel cortile, ad uno ad uno, coll'erba sino a mezza gamba, vociando, schiamazzando, armati di secchie, di brocche piene d'acqua; compare Cosimo colla scure da far legna; don Luca il sagrestano che voleva dar di mano alle campane un'altra volta, per chiamare all'armi; Pelagatti così com'era corso, al primo allarme, col pistolone arrugginito ch'era andato a scavar di sotto allo strame.

Dal cortile non si vedeva ancora il fuoco. Soltanto, di tratto in tratto, come spirava il maestrale, passavano al di sopra delle gronde ondate di fumo, che si sperdevano dietro il muro a secco del giardinetto, fra i rami dei mandorli in fiore. Sotto la tettoia cadente erano accatastate delle fascine; e in fondo, ritta contro la casa del vicino Motta, dell'altra legna grossa: assi d'impalcati, correntoni fradici, una trave di palmento che non si era mai potuta vendere.

- Peggio dell'esca, vedete! - sbraitava mastro-don Gesualdo. - Roba da fare andare in aria tutto il quartiere!… santo e santissimo!… E me la mettono poi contro il mio muro; perché loro non hanno nulla da perdere, santo e santissimo!…

In cima alla scala, don Ferdinando, infagottato in una vecchia palandrana, con un fazzolettaccio legato in testa, la barba lunga di otto giorni, gli occhi grigiastri e stralunati, che sembravano quelli di un pazzo in quella faccia incartapecorita di asmatico, ripeteva come un'anatra:

- Di qua! di qua!

Ma nessuno osava avventurarsi su per la scala che traballava. Una vera bicocca quella casa: i muri rotti, scalcinati, corrosi; delle fenditure che scendevano dal cornicione sino a terra; le finestre sgangherate e senza vetri; lo stemma logoro, scantonato, appeso ad un uncino arrugginito, al di sopra della porta. Mastro-don Gesualdo voleva prima buttar fuori sulla piazza tutta quella legna accatastata nel cortile.

- Ci vorrà un mese! - rispose Pelagatti il quale stava a guardare sbadigliando, col pistolone in mano.

- Santo e santissimo! Contro il mio muro è accatastata!… Volete sentirla, sì o no?

Giacalone diceva piuttosto di abbattere la tettoia; don Luca il sagrestano assicurò che pel momento non c'era pericolo: una torre di Babele!

Erano accorsi anche altri vicini. Santo Motta colle mani in tasca, il faccione gioviale e la barzelletta sempre pronta. Speranza, sua sorella, verde dalla bile, strizzando il seno vizzo in bocca al lattante, sputando veleno contro i Trao: - Signori miei… guardate un po'!… Ci abbiamo i magazzini qui accanto! - E se la prendeva anche con suo marito Burgio, ch'era lì in maniche di camicia: - Voi non dite nulla! State lì come un allocco! Cosa siete venuto a fare dunque?

Mastro-don Gesualdo si slanciò il primo urlando su per la scala. Gli altri dietro come tanti leoni per gli stanzoni scuri e vuoti. A ogni passo un esercito di topi che spaventavano la gente. - Badate! badate! Ora sta per rovinare il solaio! - Nanni l'Orbo che ce l'aveva sempre con quello della finestra, vociando ogni volta: - Eccolo! eccolo! - E nella biblioteca, la quale cascava a pezzi, fu a un pelo d'ammazzare il sagrestano col pistolone di Pelagatti. Si udiva sempre nel buio la voce chioccia di don Ferdinando il quale chiamava: - Bianca! Bianca! - E don Diego che bussava e tempestava dietro un uscio, fermando pel vestito ognuno che passava strillando anche lui: - Bianca! mia sorella!…

- Che scherzate? - rispose mastro-don Gesualdo rosso come un pomodoro, liberandosi con una strappata. - Ci ho la mia casa accanto, capite: Se ne va in fiamme tutto il quartiere!

Era un correre a precipizio nel palazzo smantellato; donne che portavano acqua; ragazzi che si rincorrevano schiamazzando in mezzo a quella confusione, come fosse una festa; curiosi che girandolavano a bocca aperta, strappando i brandelli di stoffa che pendevano ancora dalle pareti, toccando gli intagli degli stipiti, vociando per udir l'eco degli stanzoni vuoti, levando il naso in aria ad osservare le dorature degli stucchi, e i ritratti di famiglia: tutti quei Trao affumicati che sembravano sgranare gli occhi al vedere tanta marmaglia in casa loro. Un va e vieni che faceva ballare il pavimento.

- Ecco! ecco! Or ora rovina il tetto! - sghignazzava Santo Motta, sgambettando in mezzo all'acqua: delle pozze d'acqua ad ogni passo, fra i mattoni smossi o mancanti. Don Diego e don Ferdinando, spinti, sbalorditi, travolti in mezzo alla folla che rovistava in ogni cantuccio la miseria della loro casa, continuando a strillare: - Bianca!… Mia sorella!…

- Avete il fuoco in casa, capite! - gridò loro nell'orecchio Santo Motta. - Sarà una bella luminaria con tutta questa roba vecchia!

- Per di qua, per di qua! - si udì una voce dal vicoletto. - Il fuoco è lassù, in cucina…

Mastro Nunzio, il padre di Gesualdo, arrampicatosi su di una scala a piuoli, faceva dei gesti in aria, dal tetto della sua casa, lì dirimpetto. Giacalone aveva attaccata una carrucola alla ringhiera del balcone per attinger acqua dalla cisterna dei Motta. Mastro Cosimo, il legnaiuolo, salito sulla gronda, dava furiosi colpi di scure sull'abbaino.

- No! no! - gridarono di sotto. - Se date aria al fuoco, in un momento se ne va tutto il palazzo!

Don Diego allora si picchiò un colpo in fronte, balbettando: - Le carte di famiglia! Le carte della lite! - E don Ferdinando scappò via correndo, colle mani nei capelli, vociando anche lui.

Dalle finestre, dal balcone, come spirava il vento, entravano a ondate vortici di fumo denso, che facevano tossire don Diego, mentre continuava a chiamare dietro l'uscio: - Bianca! Bianca! il fuoco!…

Mastro-don Gesualdo il quale si era slanciato furibondo su per la scaletta della cucina, tornò indietro accecato dal fumo, pallido come un morto, cogli occhi fuori dell'orbita, mezzo soffocato:

- Santo e santissimo!… Non si può da questa parte!… Sono rovinato!

Gli altri vociavano tutti in una volta, ciascuno dicendo la sua; una baraonda da sbalordire: - Buttate giù le tegole! - Appoggiate la scala al fumaiuolo! - Mastro Nunzio, in piedi sul tetto della sua casa, si dimenava al pari di un ossesso. Don Luca, il sagrestano, era corso davvero ad attaccarsi alle campane. La gente in piazza, fitta come le mosche. Dal corridoio riuscì a farsi udire comare Speranza, che era rauca dal gridare strappando i vestiti di dosso alla gente per farsi largo, colle unghie sfoderate come una gatta e la schiuma alla bocca: - Dalla scala ch'è laggiù, in fondo al corridoio! - Tutti corsero da quella parte, lasciando don Diego che seguitava a chiamare dietro l'uscio della sorella: - Bianca! Bianca!… - Udivasi un tramestìo dietro quell'uscio; un correre all'impazzata quasi di gente che ha persa la testa. Poi il rumore di una seggiola rovesciata. Nanni l'Orbo tornò a gridare in fondo al corridoio: - Eccolo! eccolo! - E si udì lo scoppio del pistolone di Pelagatti, come una cannonata.

- La Giustizia! Ecco qua gli sbirri! - vociò dal cortile Santo Motta.

Allora si aprì l'uscio all'improvviso, e apparve donna Bianca, discinta, pallida come una morta, annaspando colle mani convulse, senza profferire parola, fissando sul fratello gli occhi pazzi di terrore e d'angoscia. Ad un tratto si piegò sulle ginocchia, aggrappandosi allo stipite, balbettando:

- Ammazzatemi, don Diego!… Ammazzatemi pure!… ma non lasciate entrare nessuno qui!…

Quello che accadde poi, dietro quell'uscio che don Diego aveva chiuso di nuovo spingendo nella cameretta la sorella, nessuno lo seppe mai. Si udì soltanto la voce di lui, una voce d'angoscia disperata, che balbettava: - Voi?… Voi qui?…

Accorrevano il signor Capitano, l'Avvocato fiscale, tutta la Giustizia. Don Liccio Papa, il caposbirro, gridando da lontano, brandendo la sciaboletta sguainata: - Aspetta! aspetta! Ferma! ferma! - E il signor Capitano dietro di lui, trafelato come don Liccio, cacciando avanti il bastone: - Largo! largo! Date passo alla Giustizia! - L'Avvocato fiscale ordinò di buttare a terra l'uscio. - Don Diego! Donna Bianca! Aprite! Cosa vi è successo?

S'affacciò don Diego, invecchiato di dieci anni in un minuto, allibito, stralunato, con una visione spaventosa in fondo alle pupille grige, con un sudore freddo sulla fronte, la voce strozzata da un dolore immenso:

- Nulla!… Mia sorella!… Lo spavento!… Non entrate nessuno!…

Pelagatti inferocito contro Nanni l'Orbo: - Bel lavoro mi faceva fare!… Un altro po' ammazzavo compare Santo!… - Il Capitano gli fece lui pure una bella lavata di capo: - Con le armi da fuoco!… Che scherzate?… Siete una bestia! - Signor Capitano, credevo che fosse il ladro, laggiù al buio… L'ho visto con questi occhi! - Zitto! zitto, ubbriacone! - gli diede sulla voce l'Avvocato fiscale. - Piuttosto andiamo a vedere il fuoco.

Adesso dal corridoio, dalla scala dell'orto, tutti portavano acqua. Compare Cosimo era salito sul tetto, e dava con la scure sui travicelli. Da ogni parte facevano piovere sul soffitto che fumava, tegole, sassi, cocci di stoviglie. Burgio, sulla scala a piuoli, sparandovi schioppettate sopra, e dall'altro lato Pelagatti, appostato accanto al fumaiuolo, caricava e scaricava il pistolone senza misericordia. Don Luca che suonava a tutto andare le campane; la folla dalla piazza vociando e gesticolando; tutti i vicini alla finestra. I Margarone stavano a vedere dalla terrazza al di sopra dei tetti, dirimpetto, le figliuole ancora coi riccioli incartati, don Filippo che dava consigli da lontano, dirigendo le operazioni di quelli che lavoravano a spegnere l'incendio colla canna d'India.

Don Ferdinando, il quale tornava in quel momento carico di scartafacci, batté il naso nel corridoio buio contro Giacalone che andava correndo.

- Scusate, don Ferdinando. Vado a chiamare il medico per la sorella di vossignoria.

- Il dottor Tavuso! - gli gridò dietro la zia Macrì una parente povera come loro, ch'era accorsa per la prima. - Qui vicino, alla farmacia di Bomma.

Bianca era stata presa dalle convulsioni: un attacco terribile; non bastavano in quattro a trattenerla sul lettuccio. Don Diego sconvolto anche lui, pallido come un cadavere, colle mani scarne e tremanti, cercava di ricacciare indietro tutta quella gente. - No!… non è nulla!… Lasciatela sola!… - Il Capitano si mise infine a far piovere legnate a diritta e a manca, come veniva, sui vicini che s'affollavano all'uscio curiosi. - Che guardate? Che volete? Via di qua! fannulloni! vagabondi! Voi, don Liccio Papa, mettetevi a guardia del portone.

Venne più tardi un momento il barone Mèndola, per convenienza, e donna Sarina Cirmena che ficcava il naso da per tutto; il canonico Lupi da parte della baronessa Rubiera. La zia Sganci e gli altri parenti mandarono il servitore a prender notizie della nipote. Don Diego, reggendosi appena sulle gambe, sporgeva il capo dall'uscio, e rispondeva a ciascheduno:

- Sta un po' meglio… E' più calma!… Vuol esser lasciata sola…

- Eh! eh! - mormorò il canonico scuotendo il capo e guardando in giro le pareti squallide della sala: - Mi rammento qui!… Dove è andata la ricchezza di casa Trao!…

Il barone scosse il capo anche lui, lisciandosi il mento ispido di barba dura colla mano pelosa. La zia Cirmena scappò a dire:

- Sono pazzi! Pazzi da legare tutti e due! Don Ferdinando già è stato sempre uno stupido… e don Diego… vi rammentate! Quando la cugina Sganci gli aveva procurato quell'impiego nei mulini!… Nossignore!… un Trao non poteva vivere di salario!… Di limosina sì, possono vivere!…

- Oh! oh! - interruppe il canonico, colla malizia che gli rideva negli occhietti di topo, ma stringendo le labbra sottili.

- Sissignore!… Come volete chiamarla: Tutti i parenti si danno la voce per quello che devono mandare a Pasqua e a Natale… Vino, olio, formaggio… anche del grano… La ragazza già è tutta vestita dei regali della zia Rubiera.

- Eh! eh!… - Il canonico, con un sorrisetto incredulo, andava stuzzicando ora donna Sarina ed ora il barone, il quale chinava il capo, seguitava a grattarsi il mento discretamente, fingeva di guardare anch'esso di qua e di là, come a dire: - Eh! eh! pare anche a me!…

Giunse in quel mentre il dottor Tavuso in fretta, col cappello in capo, senza salutar nessuno, ed entrò nella camera dell'inferma.

Poco dopo tornò ad uscire, stringendosi nelle spalle, gonfiando le gote, accompagnato da don Ferdinando allampanato che pareva un cucco. La zia Macrì e il canonico Lupi corsero dietro al medico. La zia Cirmena che voleva sapere ogni cosa e vi piantava in faccia quei suoi occhialoni rotondi peggio dell'Avvocato fiscale.

- Eh? Cos'è stato? Lo sapete voi? Adesso si chiamano nervi… malattia di moda… Vi mandano a chiamare per un nulla quasi potessero pagare le visite del medico! - rispose Tavuso burbero. Quindi, piantando anche lui gli occhiali in faccia a donna Sarina:

- Volete che ve la dica? Le ragazze a certa età bisogna maritarle!

E voltò le spalle soffiando gravemente, tossendo, spurgandosi. I parenti si guardarono in faccia. Il canonico, per discrezione, prese a tenere a bada il barone Mèndola, dandogli chiacchiera e tabacco, sputacchiando di qua e di là, onde cercare di sbirciar quello che succedeva dietro l'uscio socchiuso di donna Bianca, stringendo le labbra riarse come inghiottisse ogni momento: - Si capisce!… La paura avuta!… Le avevano fatto credere d'avere i ladri in casa!… povera donna Bianca!… E' così giovine!… così delicata!…

- Sentite, cugina! - disse donna Sarina tirando in disparte la Macrì. Don Ferdinando, sciocco, voleva accostarsi per udire lui pure: - Un momento! Che maniera! - lo sgridò la zia Cirmena. - Ho da dire una parola a vostra zia!… Piuttosto andate a pigliare un bicchiere d'acqua per Bianca, che le farà bene…

Tornò a scendere Santo Motta di lassù, fregandosi le mani, coll'aria sorridente: - E' tutta rovinata la cucina! Non c'è più dove cuocere un uovo!… Bisognerà fabbricarla di nuovo! - Come nessuno gli dava retta, fissava in volto or questo ed ora quello col suo sorriso sciocco.

Il canonico Lupi, per levarselo dai piedi, gli disse infine:

- Va bene, va bene. Poi ci si penserà…

Il barone Mèndola, appena Santo Motta volse le spalle, si sfogò infine:

- Ci si penserà?… Se ci saranno i denari per pensarci! Io gliel'ho sempre detto… Vendete metà di casa, cugini cari… anche una o due camere… tanto da tirare innanzi!… Ma nossignore!.. Vendere la casa dei Trao?… Piuttosto, ogni stanza che rovina chiudono l'uscio e si riducono in quelle che restano in piedi… Così faranno per la cucina… Faranno cuocere le uova qui in sala, quando le avranno… Vendere una o due camere:… Nossignore… non si può, anche volendo… La camera dell'archivio: e ci son le carte di famiglia!… Quella della processione: e non ci sarà poi dove affacciarsi quando passa il Corpus Domini!… Quella del cucù:… Ci hanno anche la camera pel cucù, capite!

E il barone, con quella sfuriata, li piantò tutti lì, che si sganasciavano dalle risa.

Donna Sarina, prima d'andarsene, picchiò di nuovo all'uscio della nipote, per sapere come stava. Fece capolino don Diego, sempre con quella faccia di cartapesta, e ripeté:

- Meglio… E' più calma!… Vuol esser lasciata sola…

- Povero Diego! - sospirò la zia Macrì. - La Cirmena fece ancora alcuni passi nell'anticamera, perché non udisse don Ferdinando il quale veniva a chiuder l'uscio, e soggiunse sottovoce:

- Lo sapevo da un pezzo… Vi rammentate la sera dell'Immacolata, che cadde tanta neve?… Vidi passare il baronello Rubiera dal vicoletto qui a due passi… intabarrato come un ladro…

Il canonico Lupi attraversò il cortile, rialzando la sottana sugli stivaloni grossi in mezzo alle erbacce, si voltò indietro verso la casa smantellata, per veder se potessero udirlo, e poi, dinanzi al portone, guardando inquieto di qua e di là, conchiuse:

- Avete udito il dottore Tavuso? Possiamo parlare perché siamo tutti amici intimi e parenti… A certa età le ragazze bisogna maritarle!

 

 

II

Nella piazza, come videro passare don Diego Trao col cappello bisunto e la palandrana delle grandi occasioni, fu un avvenimento: - Ci volle il fuoco a farvi uscir di casa! - Il cugino Zacco voleva anche condurlo al Caffè dei Nobili: - Narrateci, dite come fu… - Il poveraccio si schermì alla meglio; per altro non era socio: poveri sì, ma i Trao non s'erano mai cavato il cappello a nessuno. Fece il giro lungo onde evitare la farmacia di Bomma, dove il dottor Tavuso sedeva in cattedra tutto il giorno; ma nel salire pel Condotto, rasente al muro, inciampò in quella linguaccia di Ciolla, ch'era sempre in cerca di scandali:

- Buon vento, buon vento, don Diego! Andate da vostra cugina Rubiera?

Lui si fece rosso. Sembrava che tutti gli leggessero in viso il suo segreto! Si voltò ancora indietro esitante, guardingo, prima d'entrare nel vicoletto, temendo che Ciolla stesse a spiarlo. Per fortuna colui s'era fermato a discorrere col canonico Lupi, facendo di gran risate, alle quali il canonico rispondeva atteggiando la bocca al riso anche lui, discretamente.

La baronessa Rubiera faceva vagliare del grano. Don Diego la vide passando davanti la porta del magazzino, in mezzo a una nuvola di pula, con le braccia nude, la gonnella di cotone rialzata sul fianco, i capelli impolverati, malgrado il fazzoletto che s'era tirato giù sul naso a mo' di tettino. Essa stava litigando con quel ladro del sensale Pirtuso, che le voleva rubare il suo farro pagandolo due tarì meno a salma, accesa in volto, gesticolando con le braccia pelose, il ventre che le ballava: - Non ne avete coscienza, giudeo?… - Poi, come vide don Diego, si voltò sorridente:

- Vi saluto, cugino Trao. Cosa andate facendo da queste parti?

- Veniva appunto, signora cugina… - e don Diego, soffocato dalla polvere, si mise a tossire.

- Scostatevi, scostatevi! Via di qua, cugino. Voi non ci siete avvezzo - interruppe la baronessa. - Vedete cosa mi tocca a fare? Ma che faccia avete, gesummaria! Lo spavento di questa notte, eh?…

Dalla botola, in cima alla scaletta di legno, si affacciarono due scarpacce, delle grosse calze turchine, e si udì una bella voce di giovanetta la quale disse:

- Signora baronessa, eccoli qua.

- E' tornato il baronello?

- Sento Marchese che abbaia laggiù.

- Va bene, adesso vengo. Dunque, pel farro cosa facciamo, mastro Lio?

Pirtuso era rimasto accoccolato sul moggio, tranquillamente, come a dire che non gliene importava del farro, guardando sbadatamente qua e là le cose strane che c'erano nel magazzino vasto quanto una chiesa. Una volta, al tempo dello splendore dei Rubiera, c'era stato anche il teatro. Si vedeva tuttora l'arco dipinto a donne nude e a colonnati come una cappella; il gran palco della famiglia di contro, con dei brandelli di stoffa che spenzolavano dal parapetto; un lettone di legno scolpito e sgangherato in un angolo; dei seggioloni di cuoio, sventrati per farne scarpe; una sella di velluto polverosa, a cavalcioni sul subbio di un telaio; vagli di tutte le grandezze appesi in giro; mucchi di pale e di scope; una portantina ficcata sotto la scala che saliva al palco, con lo stemma dei Rubiera allo sportello, e una lanterna antica posata sul copricielo, come una corona. Giacalone, e Vito Orlando, in mezzo a mucchi di frumento alti al pari di montagne, si dimenavano attorno ai vagli immensi, come ossessi, tutti sudati e bianchi di pula, cantando in cadenza; mentre Gerbido, il ragazzo, ammucchiava continuamente il grano con la scopa.

- Ai miei tempi, signora baronessa, io ci ho visto la commedia, in questo magazzino, - rispose Pirtuso per sviare la domanda.

- Lo so! lo so! Così si son fatti mangiare il fatto suo i Rubiera! E ora vorreste continuare!… Lo pigliate il farro, sì o no?

- Ve l'ho detto: a cinque onze e venti.

- No, in coscienza, non posso. Ci perdo già un tarì a salma.

- Benedicite a vossignoria!

- Via, mastro Lio, ora che ha parlato la signora baronessa! - aggiunse Giacalone, sempre facendo ballare il vaglio. Ma il sensale riprese il suo moggio, e se ne andò senza rispondere. La baronessa gli corse dietro, sull'uscio, per gridargli:

- A cinque e vent'uno. V'accomoda?

- Benedicite, benedicite.

Ma essa, colla coda dell'occhio, si accorse che il sensale si era fermato a discorrere col canonico Lupi, il quale, sbarazzatosi infine del Ciolla, se ne veniva su pel vicoletto. Allora, rassicurata, si rivolse al cugino Trao, parlando d'altro:

- Stavo pensando giusto a voi, cugino. Un po' di quel farro voglio mandarvelo a casa… No, no, senza cerimonie… Siamo parenti. La buon'annata deve venire per tutti. Poi il Signore ci aiuta!… Avete avuto il fuoco in casa, eh? Dio liberi! M'hanno detto che Bianca è ancora mezza morta dallo spavento… Io non potevo lasciare, qui… scusatemi.

- Sì… son venuto appunto… Ho da parlarvi…

- Dite, dite pure… Ma intanto, mentre siete laggiù, guardate se torna Pirtuso… Così, senza farvi scorgere…

- E' una bestia! - rispose Vito Orlando dimenandosi sempre attorno al vaglio. - Conosco mastro Lio. E' una bestia! Non torna. Ma in quel momento entrava il canonico Lupi, sorridente, con quella bella faccia amabile che metteva tutti d'accordo, e dietro a lui il sensale col moggio in mano. - Deo gratias! Deo gratias! Lo combiniamo questo matrimonio, signora baronessa?

Come s'accorse di don Diego Trao, che aspettava umilmente in disparte, il canonico mutò subito tono e maniere, colle labbra strette, affettando di tenersi in disparte anche lui, per discrezione, tutto intento a combinare il negozio del frumento.

Si stette a tirare un altro po'; mastro Lio ora strillava e dibattevasi quasi volessero rubargli i denari di tasca. La baronessa invece coll'aria indifferente, voltandogli le spalle, chiamando verso la botola:

- Rosaria! Rosaria!

- E tacete! - esclamò infine il canonico battendo sulle spalle di mastro Lio colla manaccia. - Io so per chi comprate. E' per mastro-don Gesualdo.

Giacalone accennò di sì, strizzando l'occhio.

- Non è vero! Mastro-don Gesualdo non ci ha che fare! - si mise a vociare il sensale. - Quello non è il mestiere di mastro-don Gesualdo! - Ma infine, come s'accordarono sul prezzo, Pirtuso si calmò. Il canonico soggiunse:

- State tranquillo, che mastro-don Gesualdo fa tutti i mestieri in cui c'è da guadagnare.

Pirtuso il quale s'era accorto della strizzatina d'occhio di Giacalone, andò a dirgli sotto il naso il fatto suo: - Che non ne vuoi mangiare pane, tu? Non sai che si tace nei negozi? - La baronessa, dal canto suo, mentre il sensale le voltava le spalle, ammiccò anch'essa al canonico Lupi, come a dirgli che riguardo al prezzo non c'era male.

- Sì, sì, - rispose questi sottovoce. - Il barone Zacco sta per vendere a minor prezzo. Però mastro-don Gesualdo ancora non ne sa nulla.

- Ah! s'è messo anche a fare il negoziante di grano, mastro-don Gesualdo? Non lo fa più il muratore?

- Fa un po' di tutto, quel diavolo! Dicesi pure che vuol concorrere all'asta per la gabella delle terre comunali…

La baronessa allora sgranò gli occhi: - Le terre del cugino Zacco:… Le gabelle che da cinquant'anni si passano in mano di padre in figlio?… E' una bricconata!

- Non dico di no; non dico di no. Oggi non si ha più riguardo a nessuno. Dicono che chi ha più denari, quello ha ragione…

Allora si rivolse verso don Diego, con grande enfasi, pigliandosela coi tempi nuovi:

- Adesso non c'è altro Dio! Un galantuomo alle volte… oppure una ragazza ch'è nata di buona famiglia… Ebbene non hanno fortuna! Invece uno venuto dal nulla… uno come mastro-don Gesualdo, per esempio!…

Il canonico riprese a dire come in aria di mistero parlando piano con la baronessa e don Diego Trao sputacchiando di qua e di là:

- Ha la testa fine quel mastro-don Gesualdo! Si farà ricco ve lo dico io! Sarebbe un marito eccellente per una ragazza a modo… come ce ne son tante che non hanno molta dote.

Mastro Lio stavolta se ne andava davvero. - Dunque signora baronessa, posso venire a caricare il grano? - La baronessa, tornata di buon umore, rispose: - Sì ma sapete come dice l'oste? " Qui si mangia e qui si beve; senza denari non ci venire."

- Pronti e contanti, signora baronessa. Grazie a Dio vedrete che saremo puntuali.

- Se ve l'avevo detto! - esclamò Giacalone ansando sul vaglio. - E' mastro-don Gesualdo!

Il canonico fece un altro segno d'intelligenza alla baronessa, e dopo che Pirtuso se ne fu andato, le disse:

- Sapete cosa ho pensato? di concorrere pure all'asta vossignoria, insieme a qualchedun altro… ci starei anch'io…

- No, no, ho troppa carne al fuoco!… Poi non vorrei fare uno sgarbo al cugino Zacco! Sapete bene… Siamo nel mondo… Abbiamo bisogna alle volte l'uno dell'altro.

- Intendo… mettere avanti un altro… mastro-don Gesualdo Motta, per esempio. Un capitaluccio lo ha; lo so di sicuro… Vossignoria darebbe l'appoggio del nome… Si potrebbe combinare una società fra di noi tre…

Poscia, sembrandogli che don Diego Trao stesse ad ascoltare i loro progetti, perchè costui aspettava il momento di parlare alla cugina Rubiera, impresciuttito nella sua palandrana, e aveva tutt'altro per la testa il poveraccio! il canonico cambiò subito discorso:

- Eh, eh, quante cose ha visto questo magazzino! Mi rammento, da piccolo, il marchese Limòli che recitava Adelaide e Comingio colla Margarone, buon'anima, la madre di don Filippo, quella ch'è andata a finire poi alla Salonia. "Adelaide! dove sei?" - La scena della Certosa… Bisognava vedere! tutti col fazzoletto agli occhi! Tanto che don Alessandro Spina per la commozione, si mise a gridare: "Ma diglielo che sei tu!… " e le buttò anche una parolaccia… Ci fu poi la storia della schioppettata che tirarono al marchese Limòli, mentre stava a prendere il fresco, dopo cena; e di don Nicola Margarone che condusse la moglie in campagna, e non le fece più vedere anima viva. Ora riposano insieme marito e moglie nella chiesa del Rosario, pace alle anime loro!

La baronessa affermava coi segni del capo, dando un colpo di scopa, di tanto in tanto, per dividere il grano dalla mondiglia. - Così andavano in rovina le famiglie. Se non ci fossi stata io, in casa dei Rubiera!… Lo vedete quel che sarebbe rimasto di tante grandezze! Io non ho fumi, grazie a Dio! Io sono rimasta quale mi hanno fatto mio padre e mia madre… gente di campagna, gente che hanno fatto la casa colle loro mani, invece di distruggerla! e per loro c'è ancora della grazia di Dio nel magazzino dei Rubiera, invece di feste e di teatri…

In quella arrivò il vetturale colle mule cariche.

- Rosaria! Rosaria! - si mise a gridare di nuovo la baronessa verso la scaletta.

Finalmente comparvero dalla botola le scarpaccie e le calze turchine, poi la figura di scimmia della serva, sudicia, spettinata, sempre colle mani nei capelli.

- Don Ninì non era alla Vignazza, - disse lei tranquillamente. - Alessi è ritornato col cane, ma il baronello non c'era.

- Oh, Vergine Santa! - cominciò a strillare la padrona, perdendo un po' del suo colore acceso. - Oh, Maria Santissima! E dove sarà mai? Cosa gli sarà accaduto al mio ragazzo?

Don Diego a quel discorso si faceva rosso e pallido da un momento all'altro. Aveva la faccia di uno che voglia dire: - Apriti, terra, e inghiottimi! - Tossì, cercò il fazzoletto dentro il cappello, aprì la bocca per parlare; poi si volse dall'altra parte, asciugandosi il sudore. Il canonico s'affrettò a rispondere, guardando sottecchi don Diego Trao.

- Sarà andato in qualche altro posto… Quando si va a caccia, sapete bene…

- Tutti i vizi di suo padre, buon'anima! Caccia, giuoco, divertimenti… senza pensare ad altro… e senza neppure avvertirmi!… Figuratevi, stanotte, quando le campane hanno suonato al fuoco, vado a cercarlo in camera sua, e non lo trovo! Mi sentirà!… Oh, mi sentirà!…

Il canonico cercava di troncare il discorso, col viso inquieto, il sorriso sciocco che non voleva dir nulla:

- Eh, eh, baronessa! vostro figlio non è più un ragazzo; ha ventisei anni!

- Ne avesse anche cento!… Fin che si marita, capite!… E anche dopo!

- Signora baronessa, dove s'hanno a scaricare i muli? - disse Rosaria, grattandosi il capo.

- Vengo, vengo. Andiamo per di qua. Voialtri passerete pel cortile, quando avrete terminato.

Essa chiuse a catenaccio Giacalone e Vito Orlando dentro il magazzino, e s'avviò verso il portone.

La casa della baronessa era vastissima, messa insieme a pezzi e bocconi, a misura che i genitori di lei andavano stanando ad uno ad uno i diversi proprietari, sino a cacciarsi poi colla figliuola nel palazzetto dei Rubiera e porre ogni cosa in comune: tetti alti e bassi; finestre d'ogni grandezza, qua e là, come capitava; il portone signorile incastrato in mezzo a facciate da catapecchie. Il fabbricato occupava quasi tutta la lunghezza del vicoletto. La baronessa, discorrendo sottovoce col canonico Lupi, s'era quasi dimenticata del cugino, il quale veniva dietro passo passo. Ma giunti al portone il canonico si tirò indietro prudentemente: - Un'altra volta; tornerò poi. Adesso vostro cugino ha da parlarvi. Fate gli affari vostri, don Diego.

- Ah, scusate, cugino. Entrate, entrate pure.

Fin dall'androne immenso e buio, fiancheggiato di porticine basse, ferrate a uso di prigione, si sentiva di essere in una casa ricca: un tanfo d'olio e di formaggio che pigliava alla gola; poi un odore di muffa e di cantina. Dal rastrello spalancato, come dalla profondità di una caverna, venivano le risate di Alessi e della serva che riempivano i barili, e il barlume fioco del lumicino posato sulla botte.

- Rosaria! Rosaria! - tornò a gridare la baronessa in tono di minaccia. Quindi rivolta al cugino Trao: - Bisogna darle spesso la voce, a quella benedetta ragazza; perché quando ci ha degli uomini sottomano è un affar serio! Ma del resto è fidata, e bisogna aver pazienza. Che posso farci?… Una casa piena di roba come la mia!…

Più in là, nel cortile che sembrava quello di una fattoria popolato di galline, di anatre, di tacchini, che si affollavano schiamazzando attorno alla padrona, il tanfo si mutava in un puzzo di concime e di strame abbondante. Due o tre muli dalla lunga fila sotto la tettoia, allungarono il collo ragliando; dei piccioni calarono a stormi dal tetto; un cane da pecoraio feroce, si mise ad abbaiare, strappando la catena; dei conigli allungavano pure le orecchie inquiete, dall'oscurità misteriosa della legnaia. E la baronessa in mezzo a tutto quel ben di Dio, disse al cugino:

- Voglio mandarvi un paio di piccioni, per Bianca…

Il poveraccio tossì, si soffiò il naso, ma non trovò neppure allora le parole da rispondere. Infine, dopo un laberinto di anditi e di scalette, per stanzoni oscuri, ingombri di ogni sorta di roba, mucchi di fave e di orzo riparati dai graticci, arnesi di campagna, cassoni di biancheria, arrivarono nella camera della baronessa, imbiancata a calce, col gran letto nuziale rimasto ancora tale e quale, dopo vent'anni di vedovanza, dal ramoscello d'ulivo benedetto, a piè del crocifisso, allo schioppo del marito accanto al capezzale.

La cugina Rubiera era tornata a lamentarsi del figliuolo: - Tale e quale suo padre, buon'anima! Senza darsi un pensiero al mondo della mamma o dei suoi interessi!…

Vedendo il cugino Trao inchiodato sull'uscio, rimpiccinito nel soprabitone, gli porse da sedere: - Entrate, entrate, cugino Trao. - Il poveretto si lasciò cadere sulla seggiola, quasi avesse le gambe rotte, sudando come Gesù all'orto; si cavò allora il cappellaccio bisunto, passandosi il fazzoletto sulla fronte.

- Avete da dirmi qualche cosa, cugino? Parlate, dite pure.

Egli strinse forte le mani l'una nell'altra, dentro il cappello, e balbettò colla voce roca, le labbra smorte e tremanti, gli occhi umidi e tristi che evitavano gli occhi della cugina:

- Sissignora… Ho da parlarvi…

Lei, da prima, al vedergli quella faccia, pensò che fosse venuto a chiederle denari in prestito. Sarebbe stata la prima volta, è vero: erano troppo superbi i cugini Trao: qualche regaluccio, di quelli che aiutano a tirare innanzi, vino, olio, frumento, solevano accettarlo dai parenti ricchi - lei, la cugina Sganci, il barone Mèndola - ma la mano non l'avevano mai stesa. Però alle volte il bisogno fa chinare il capo anche ad altro!… La prudenza istintiva che era nel sangue di lei, le agghiacciò un momento il sorriso benevolo. Poscia pensò al fuoco che avevano avuto in casa, alla malattia di Bianca - era una buona donna infine - don Diego aveva proprio una faccia da far compassione… Accostò la sua seggiola a quella di lui, per fargli animo, e soggiunse:

- Parlate, parlate, cugino mio… Quel che si può fare… sapete bene… siamo parenti… I tempi non rispondono… ma quel poco che si può… Non molto… ma quel poco che posso… fra parenti… Parlate pure…

Ma egli non poteva, no! colle fauci strette, la bocca amara, alzando ogni momento gli occhi su di lei, e aprendo le labbra senza che ne uscisse alcun suono. Infine, cavò di nuovo il fazzoletto per asciugarsi il sudore, se lo passò sulle labbra aride, balbettando:

- E' accaduta una disgrazia!… Una gran disgrazia!…

La baronessa ebbe paura di essersi lasciata andare troppo oltre. Nei suoi occhi, che fuggivano quelli lagrimosi del cugino, cominciò a balenare la inquietudine del contadino che teme per la sua roba.

- Cioè!… cioè!…

- Vostro figlio è tanto ricco!… Mia sorella no, invece!…

A quelle parole la cugina Rubiera tese le orecchie, colla faccia a un tratto irrigidita nella maschera dei suoi progenitori, improntata della diffidenza arcigna dei contadini che le avevano dato il sangue delle vene e la casa messa insieme a pezzo a pezzo colle loro mani. Si alzò, andò ad appendere la chiave allo stipite dell'uscio, frugò alquanto nei cassetti del cassettone. Infine, vedendo che don Diego non aggiungeva altro:

- Ma spiegatevi, cugino. Sapete che ho tanto da fare…

Invece di spiegarsi don Diego scoppiò a piangere come un ragazzo, nascondendo il viso incartapecorito nel fazzoletto di cotone, con la schiena curva e scossa dai singhiozzi ripetendo:

- Bianca! mia sorella!… E' capitata una gran disgrazia alla mia povera sorella!… Ah, cugina Rubiera!… voi che siete madre!…

Adesso la cugina aveva tutt'altra faccia anche lei: le labbra strette per non lasciarsi scappar la pazienza, e una ruga nel bel mezzo della fronte: la ruga della gente che è stata all'acqua e al sole per farsi la roba - o che deve difenderla. In un lampo le tornarono in mente tante cose alle quali non aveva badato nella furia del continuo da fare: qualche mezza parola della cugina Macrì; le chiacchiere che andava spargendo don Luca il sagrestano; certi sotterfugi del figliuolo. A un tratto si sentì la bocca amara come il fiele anch'essa.

- Non so, cugino, - gli rispose secco secco. - Non so come ci entri io in questi discorsi…

Don Diego stette un po' a cercare le parole, guardandola fisso negli occhi che dicevano tante cose, in mezzo a quelle lagrime di onta e di dolore, e poi nascose di nuovo il viso fra le mani, accompagnando col capo la voce che stentava a venir fuori:

- Sì!… sì!… Vostro figlio Ninì!…

La baronessa stavolta rimase lei senza trovar parola, con gli occhi che le schizzavano fuori dal faccione apoplettico fissi sul cugino Trao, quasi volesse mangiarselo; quindi balzò in piedi come avesse vent'anni, e spalancò in furia la finestra gridando:

- Rosaria! Alessi! venite qua!

- Per carità! per carità! - supplicava don Diego a mani giunte, correndole dietro. - Non fate scandali, per carità! - E tacque, soffocato dalla tosse, premendosi il petto.

Ma la cugina, fuori di sé, non gli dava più retta. Sembrava un terremoto per tutta la casa: gli schiamazzi dal pollaio; l'uggiolare del cane; le scarpaccie di Alessi e di Rosaria che accorrevano a rotta di collo, arruffati, scalmanati, con gli occhi bassi.

- Dov'è mio figlio, infine? Cosa t'hanno detto alla Vignazza? Parla, stupido! - Alessi dondolandosi ora su di una gamba e ora sull'altra, balbettando, guardando inquieto di qua e di là, ripeteva sempre la stessa cosa: - Il baronello non era alla Vignazza. Vi aveva lasciato il cane, Marchese, la sera innanzi, ed era partito: - A piedi, sissignora. Così mi ha detto il fattore. - La serva, rassettandosi di nascosto, a capo chino, soggiunse che il baronello, allorché andava a caccia di buon'ora, soleva uscire dalla porticina della stalla, per non svegliar nessuno: - La chiave?… Io non so… Ha minacciato di rompermi le ossa… La colpa non è mia, signora baronessa!… - Come le pigliasse un accidente, alla signora baronessa. - Poi sgattaiolarono entrambi mogi mogi. Nella scala si udirono di nuovo le scarpaccie che scendevano a precipizio, inseguendosi.

Don Diego, cadaverico, col fazzoletto sulla bocca per frenare la tosse, continuava a balbettare soffocato delle parole senza senso.

- Era lì… dietro quell'uscio!… Meglio m'avesse ucciso addirittura… allorché mi puntò le pistole al petto… a me!… le pistole al petto, cugina Rubiera!…

La baronessa si asciugava le labbra amare come il fiele col fazzoletto di cotone: - No! questa non me l'aspettavo!… dite la verità, cugino don Diego, che non me la meritavo!… Vi ho sempre trattati da parenti… E quella gatta morta di Bianca che me la pigliavo in casa giornate intere… come una figliuola…

- Lasciatela stare, cugina Rubiera! - interruppe don Diego, con un rimasuglio del vecchio sangue dei Trao alle guance.

- Sì, sì, lasciamola stare! Quanto a mio figlio ci penserò io, non dubitate! Gli farò fare quel che dico io, al signor baronello… Birbante! assassino! Sarà causa della mia morte!…

E le spuntarono le lagrime. Don Diego, avvilito, non osava alzare gli occhi. Ci aveva fissi dinanzi, implacabili, Ciolla, la farmacia di Bomma, le risate ironiche dei vicini, le chiacchiere delle comari, ed anche insistente e dolorosa, la visione netta della sua casa, dove un uomo era entrato di notte: la vecchia casa che gli sembrava sentir trasalire ancora in ogni pietra all'eco di quei passi ladri: e Bianca, sua sorella, la sua figliuola, il suo sangue, che gli aveva mentito, che s'era stretta tacita nell'ombra all'uomo il quale veniva a recare così mortale oltraggio ai Trao: il suo povero corpo delicato e fragile nelle braccia di un estraneo!… Le lagrime gli scendevano amare e calde a lui pure lungo il viso scarno che nascondeva fra le mani.

La baronessa, infine, si asciugò gli occhi, e sospirò rivolta al crocifisso:

- Sia fatta la volontà di Dio! Anche voi, cugino Trao, dovete aver la bocca amara! Che volete: Tocca a noi che abbiamo il peso della casa sulle spalle!… Dio sa se della mia pelle ho fatto scarpe, dalla mattina alla sera! se mi son levato il pan di bocca per amore della roba!… E poi tutto a un tratto, ci casca addosso un negozio simile!… Ma questa è l'ultima che mi farà il signor baronello!… L'aggiusterò io, non dubitate! Alla fin fine non è più un ragazzo! Lo mariterò a modo mio… La catena al collo, là! quella ci vuole!… Ma voi, lasciatemelo dire, dovevate tenere gli occhi aperti, cugino Trao!… Non parlo di vostro fratello don Ferdinando, ch'è uno stupido, poveretto, sebbene sia il primogenito… ma voi che avete più giudizio… e non siete un bambino neppur voi! Dovevate pensarci voi!… Quando si ha in casa una ragazza… L'uomo è cacciatore, si sa!… A vostra sorella avreste dovuto pensarci voi… o piuttosto lei stessa… Quasi quasi si direbbe… colpa sua!… Chissà cosa si sarà messa in testa?… magari di diventare baronessa Rubiera…

Il cugino Trao si fece rosso e pallido in un momento.

- Signora baronessa… siamo poveri… è vero… Ma quanto a nascita…

- Eh, caro mio! la nascita… gli antenati… tutte belle cose… non dico di no… Ma gli antenati che fecero mio figlio barone… volete sapere quali furono?… Quelli che zapparono la terra!… Col sudore della fronte, capite? Non si ammazzarono a lavorare perché la loro roba poi andasse in mano di questo e di quello… capite?…

In quel mentre bussarono al portone col pesante martello di ferro che rintronò per tutta la casa, e suscitò un'altra volta lo schiamazzo del pollaio, i latrati del cane; e mentre la baronessa andava alla finestra, per vedere chi fosse, Rosaria gridò dal cortile:

- C'è il sensale… quello del grano…

- Vengo, vengo! - seguitò a brontolare la cugina Rubiera, tornando a staccare dal chiodo la chiave del magazzino. - Vedete quel che ci vuole a guadagnare un tarì a salma, con Pirtuso e tutti gli altri! Se ho lavorato anch'io tutta la vita, e mi son tolto il pan di bocca, per amore della casa, intendo che mia nuora vi abbia a portare la sua dote anch'essa…

Don Diego, sgambettando più lesto che poteva dietro alla cugina Rubiera, per gli anditi e gli stanzoni pieni di roba seguitava:

- Mia sorella non è ricca… cugina Rubiera… Non ha la dote che ci vorrebbe… Le daremo la casa e tutto… Ci spoglieremo per lei… Ferdinando ed io…

- Appunto, vi dicevo!… Badate che c'è uno scalino rotto… Voglio che mio figlio sposi una bella dote. La padrona son io, quella che l'ha fatto barone. Non l'ha fatta lui la roba! Entrate, entrate, mastro Lio. Lì, dal cancello di legno. E' aperto…

- Vostro figlio però lo sapeva che mia sorella non è ricca!… - ribatteva il povero don Diego che non si risolveva ad andarsene, mentre la cugina Rubiera aveva tanto da fare. Essa allora si voltò come un gallo, coi pugni sui fianchi, in cima alla scala:

- A mio figlio ci penso io, torno a dirvi! Voi pensate a vostra sorella… L'uomo è cacciatore… Lo manderò lontano! Lo chiudo a chiave! Lo sprofondo! Non tornerà in paese altro che maritato! colla catena al collo! ve lo dico io! La mia croce! la mia rovina!…

Quindi, mossa a compassione dalla disperazione muta del poveraccio, il quale non si reggeva sulle gambe, aggiunse, scendendo adagio adagio:

- E del resto… sentite, don Diego… Farò anch'io quello che potrò per Bianca… Sono madre anch'io!… Sono cristiana!… Immagino la spina che dovete averci lì dentro…

- Signora baronessa, dice che il farro non risponde al peso, - gridò Alessi dalla porta del magazzino.

- Che c'è? Cosa dice?… Anche il peso adesso? La solita rinculata! per carpirmi un altro ribasso!…

E la baronessa partì come una furia. Per un po' si udì nella profondità del magazzino un gran vocìo: sembrava che si fossero accapigliati. Pirtuso strillava peggio di un agnello in mano al beccaio; Giacalone e Vito Orlando vociavano anch'essi, per metterli d'accordo, e la baronessa fuori di sé, che ne diceva di tutti i colori. Poscia vedendo passare il cugino Trao, il quale se ne andava colla coda fra le gambe, la testa infossata nelle spalle, barcollando, lo fermò sull'uscio, cambiando a un tratto viso e maniere:

- Sentite, sentite… l'aggiusteremo fra di noi questa faccenda… Infine cos'è stato?… Niente di male, ne son certa. Una ragazza col timor di Dio… La cosa rimarrà fra voi e me… l'accomoderemo fra di noi… Vi aiuterò anch'io, don Diego… Sono madre… son cristiana… La mariteremo a un galantuomo…

Don Diego scosse il capo amaramente, avvilito, barcollando come un ubbriaco nell'andarsene.

- Sì, sì, le troveremo un galantuomo… Vi aiuterò anch'io come posso… Pazienza!… Farò un sagrificio…

Egli a quelle parole si fermò, cogli occhi spalancati, tutto tremante: - Voi!… cugina Rubiera!… No!… no!… Questo non può essere…

In quel momento veniva dal magazzino il sensale, bianco di pula, duro, perfino nella barba che gli tingeva di nero il viso anche quand'era fatta di fresco: gli occhietti grigi come due tarì d'argento, sotto le sopracciglia aggrottate dal continuo stare al sole e al vento in campagna.

- Bacio le mani, signora baronessa.

- Come? Così ve ne andate? Che c'è di nuovo? Non vi piace il farro?

L'altro disse di no col capo anch'esso, al pari di don Diego Trao, il quale se ne andava rasente al muro, continuando a scrollare la testa, come fosse stato colto da un accidente, inciampando nei sassi ogni momento.

- Come? - seguitava a sbraitare la baronessa. - Un negozio già conchiuso!…

- C'è forse caparra, signora baronessa?

- Non c'è caparra; ma c'è la parola!…

- In tal caso, bacio le mani a vossignoria!

E tirò via, ostinato come un mulo. La baronessa, furibonda, gli strillò dietro:

- Sono azionacce da pari vostro! Un pretesto per rompere il negozio… degno di quel mastro-don Gesualdo che vi manda… ora che s'è pentito…

Giacalone e Vito Orlando gli correvano dietro anch'essi scalmanandosi a fargli sentire la ragione. Ma Pirtuso tirava via, senza rispondere neppure, dicendo a don Diego Trao che non gli dava retta:

- La baronessa ha un bel dire… come se al caso non avrebbe fatto lo stesso lei pure!… Ora che il barone Zacco ha cominciato a vendere con ribasso… Villano o baronessa la caparra è quella che conta. Dico bene, vossignoria?

III

La signora Sganci aveva la casa piena di gente, venuta per vedere la processione del Santo patrono: c'erano dei lumi persino nella scala; i cinque balconi che mandavano fuoco e fiamma sulla piazza nera di popolo; don Giuseppe Barabba in gran livrea e coi guanti di cotone, che annunziava le visite.

- Mastro-don Gesualdo! - vociò a un tratto, cacciando fra i battenti dorati il testone arruffato. - Devo lasciarlo entrare, signora padrona?

C'era il fior fiore della nobiltà: l'arciprete Bugno, lucente di raso nero; donna Giuseppina Alòsi, carica di gioie; il marchese Limòli, con la faccia e la parrucca del secolo scorso. La signora Sganci, sorpresa in quel bel modo dinanzi a tanta gente, non seppe frenarsi.

- Che bestia! Sei una bestia! Don Gesualdo Motta, si dice! bestia!

Mastro-don Gesualdo fece così il suo ingresso fra i pezzi grossi del paese, raso di fresco, vestito di panno fine, con un cappello nuovo fiammante fra le mani mangiate di calcina.

- Avanti, avanti, don Gesualdo! - strillò il marchese Limòli con quella sua vocetta acre che pizzicava. - Non abbiate suggezione.